I Savoia chiedono all'Italia 260 milioni
"E' il risarcimento per 54 anni di esilio"
ROMA - I Savoia chiedono 260 milioni di euro allo Stato italiano come risarcimento per i danni morali subìti in 54 anni di esilio: 170 milioni li vuole Vittorio Emanuele; 90 suo figlio Emanuele Filiberto. Ma non è tutto: oltre agli interessi sulle somme richieste, i Savoia vogliono anche la restituzione dei beni confiscati dallo Stato al momento della nascita della Repubblica Italiana. Lo rivela un servizio che andrà in onda questa sera su RaiTre a Ballarò.
"Una ventina di giorni fa - anticipa la redazione del programma televisivo - la famiglia Savoia ha chiesto ufficialmente i danni al governo italiano con una lettera di sette pagine inviata al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al presidente del Consiglio Romano Prodi redatta dai legali dei Savoia Calvetti e Murgia".
Tra i motivi della richiesta di risarcimento illustrati nella lettera e spiegati da Emanuele Filiberto in un'intervista al programma di RaiTre ci sono "i danni morali subìti durante l'esilio per la violazione dei diritti dell'uomo stabiliti così come stabilito nella Convenzione Europea del 1948".
Secca la replica del governo. Attraverso il segretario generale della presidenza del Consiglio Carlo Malinconico - conclude la redazione di Ballarò - il governo ha fatto sapere che "non solo non ritiene di dover pagare nulla ai Savoia, ma pensa di chiedere a sua volta i danni all'ex famiglia reale per le responsabilità che ha avuto nella storia italiana".
Dubbi, quanto meno sull'opportunità di chiedere proprio adesso il risarcimento, sono stati sollevati anche da un fedelissimo di casa Savoia, Sergio Boschiero, segretario nazionale dell'Unione Monarchica Italiana: "L'avocazione allo Stato dei beni del re fu la prima grande rapina dopo la caduta della monarchia, ma non mi sembra il momento opportuno per rivendicazioni".
Giudizio che non trova d'accordo il portavoce di Casa Savoia, Filippo Bruno di Tornaforte, che ricorda cause simili intentate da altri ex regnanti: "E' il caso della Grecia, che ha dovuto pagare un cospicuo risarcimento a re Costantino e alla sua famiglia per l'ingiusto esilio".
Per questo, a ridosso della prescrizione che scatterebbe alla scadenza dei cinque anni dal rientro in Italia, i Savoia sembrano davvero decisi a fare causa allo Stato. L'ex famiglia reale è rimasta in esilio dal 1946, anno in cui si svolse il referendum che fece dell'Italia una repubblica al 2003, quando rientrarono nel nostro Paese grazie alla legge costituzionale approvata l'anno prima, legge che cancellava gli effetti delle disposizioni transitorie della Costituzione. Gli anni di esilio sarebbero 56 ma per la richiesta di risarcimento i Savoia si basano sulla data di approvazione della Convenzione Europea, quindi sul 1948.
Quanto ai proventi dell'eventuale vittoria processuale, Tornaforte precisa che andrebbero a una neonata "Fondazione Emanuele Filiberto di Savoia" che li destinerebbe "in opere di beneficenza e di sostegno alle fasce sociali più disagiate".
"E' il risarcimento per 54 anni di esilio"
ROMA - I Savoia chiedono 260 milioni di euro allo Stato italiano come risarcimento per i danni morali subìti in 54 anni di esilio: 170 milioni li vuole Vittorio Emanuele; 90 suo figlio Emanuele Filiberto. Ma non è tutto: oltre agli interessi sulle somme richieste, i Savoia vogliono anche la restituzione dei beni confiscati dallo Stato al momento della nascita della Repubblica Italiana. Lo rivela un servizio che andrà in onda questa sera su RaiTre a Ballarò.
"Una ventina di giorni fa - anticipa la redazione del programma televisivo - la famiglia Savoia ha chiesto ufficialmente i danni al governo italiano con una lettera di sette pagine inviata al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al presidente del Consiglio Romano Prodi redatta dai legali dei Savoia Calvetti e Murgia".
Tra i motivi della richiesta di risarcimento illustrati nella lettera e spiegati da Emanuele Filiberto in un'intervista al programma di RaiTre ci sono "i danni morali subìti durante l'esilio per la violazione dei diritti dell'uomo stabiliti così come stabilito nella Convenzione Europea del 1948".
Secca la replica del governo. Attraverso il segretario generale della presidenza del Consiglio Carlo Malinconico - conclude la redazione di Ballarò - il governo ha fatto sapere che "non solo non ritiene di dover pagare nulla ai Savoia, ma pensa di chiedere a sua volta i danni all'ex famiglia reale per le responsabilità che ha avuto nella storia italiana".
Dubbi, quanto meno sull'opportunità di chiedere proprio adesso il risarcimento, sono stati sollevati anche da un fedelissimo di casa Savoia, Sergio Boschiero, segretario nazionale dell'Unione Monarchica Italiana: "L'avocazione allo Stato dei beni del re fu la prima grande rapina dopo la caduta della monarchia, ma non mi sembra il momento opportuno per rivendicazioni".
Giudizio che non trova d'accordo il portavoce di Casa Savoia, Filippo Bruno di Tornaforte, che ricorda cause simili intentate da altri ex regnanti: "E' il caso della Grecia, che ha dovuto pagare un cospicuo risarcimento a re Costantino e alla sua famiglia per l'ingiusto esilio".
Per questo, a ridosso della prescrizione che scatterebbe alla scadenza dei cinque anni dal rientro in Italia, i Savoia sembrano davvero decisi a fare causa allo Stato. L'ex famiglia reale è rimasta in esilio dal 1946, anno in cui si svolse il referendum che fece dell'Italia una repubblica al 2003, quando rientrarono nel nostro Paese grazie alla legge costituzionale approvata l'anno prima, legge che cancellava gli effetti delle disposizioni transitorie della Costituzione. Gli anni di esilio sarebbero 56 ma per la richiesta di risarcimento i Savoia si basano sulla data di approvazione della Convenzione Europea, quindi sul 1948.
Quanto ai proventi dell'eventuale vittoria processuale, Tornaforte precisa che andrebbero a una neonata "Fondazione Emanuele Filiberto di Savoia" che li destinerebbe "in opere di beneficenza e di sostegno alle fasce sociali più disagiate".
La Repubblica
(20 novembre 2007)
(20 novembre 2007)
1 commento:
Rimandiamoli in esilio.
Posta un commento